Commento al Vangelo – XV Domenica del tempo Ordinario – Anno C10 luglio (Anno C) – Dt 30,10-14; Sal 18; Col 1,15-20; Lc 10,25-37
Il prossimo è ogni persona posta sulla nostra strada
Il Vangelo della XV domenica del Tempo Ordinario ci presenta la parabola del buon samaritano. Il brano si apre con una domanda posta da un dottore della Legge per mettere alla prova Gesù, non per conoscere la verità. E questa domanda, la più importante della nostra vita, “Che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?”, provoca in risposta uno degli insegnamenti più belli del Signore e ci consente di riflettere sul comandamento dell’amore, cuore di tutto il Vangelo.
Gesù non insegna cose diverse da quanto scritto nella Legge che il dottore conosce bene: amore per Dio e amore per il prossimo. A questo punto però il centro di tutto si sposta sulla domanda: “Chi è il mio prossimo?”. La risposta abituale, che trovava conferme anche in una lettura parziale delle Scritture, tendeva a identificare “prossimo” con “connazionale”. Quello di prossimo era un concetto con diverse limitazioni poiché ne erano escluse certe categorie di persone, fra cui anche i Samaritani. L’originalità del Signore sta proprio nella spiegazione di chi si debba considerare prossimo oltre a parenti, amici, connazionali.
Innanzitutto Gesù fa cadere i confini: prossimo è ogni uomo che il Signore mette sulla mia strada e offre alla mia attenzione. Non si tratta più di definire chi sia il mio prossimo o chi non lo sia. Si tratta di me stesso. Io devo diventare il prossimo, così l’altro conta per me come me stesso.
La vera novità sta nella motivazione che giustifica il comandamento dell’amore: dobbiamo amarci tra noi perché il Signore ci ha amati tutti dello stesso amore, si è chinato per primo sulle nostre ferite e con il Suo sacrificio ci ha resi una cosa sola.
Questa parabola riassume il Vangelo e la storia della nostra salvezza. L’uomo percosso dai briganti e abbandonato sulla strada sono io, siamo noi, è la nostra umanità ferita e fragile. Il buon samaritano è prima di tutto Gesù, il Figlio di Dio che si è chinato sulle nostre ferite e ci ha dato il sollievo (la sua Parola, la Fede, i Sacramenti). Se dimentichiamo questo, ogni slancio umano di solidarietà e fratellanza è destinato a naufragare.
Nella parabola, il ferito è soccorso da uno che è straniero, nemico e non si chiede fino a dove arrivino i suoi doveri di responsabilità e nemmeno quali siano i meriti per la vita eterna. Il sacerdote e il levita vedono, ma il loro cuore è chiuso. Il samaritano vede, “ebbe compassione” e nei suoi gesti riconosciamo l’agire misericordioso di Dio. Il suo è un cuore che vede. Vede dove c’è bisogno di amore e si comporta in modo conseguente: questo è il programma di vita del cristiano.
“Va’ e anche tu fa’ così”, ci ricorda Gesù. “Non stare a classificare gli altri per vedere chi è prossimo e chi no. Tu puoi diventare prossimo di chiunque incontri nel bisogno, e lo sarai se nel tuo cuore hai compassione, cioè se hai quella capacità di patire con l’altro” (papa Francesco, udienza generale, 27 aprile 2016).
Marco Castagnoli