Uno dei bisogni fondamentali dell’uomo è la sicurezza. Egli ricerca appassionatamente e necessariamente un fondamento stabile su cui poggiare la propria esistenza. Ora un movimento antico quanto l’uomo è quello di chi sceglie come pietra angolare nella propria vita le cose, il denaro. Il denaro è tutto, si dice. Il denaro è potere, è il potere. Senza denaro non si può far nulla. Il denaro dà all’uomo il senso della sicurezza, della possibilità di fare tutto. Scatta allora il meccanismo dell’accumulazione: il denaro non è mai troppo, diventa idolatria. Quando il denaro diventa il proprio “dio” (oggi la televisione ci presenta tante di queste situazioni… a cominciare da chi amministra la cosa pubblica ma, di fatto, cura solo i propri interessi!!!), per averlo si è disposti a tutto. La sete del denaro oppone l’uomo all’uomo. Se uno cerca di avere la parte maggiore, l’altro diventa un concorrente da superare o da eliminare. La divisione dell’eredità è sempre stata un momento difficile per le famiglie. Fare le parti giuste è quasi impossibile. La divisione dell’eredità diventa la divisione della famiglia. Il denaro è la sorgente di tutte le gerarchie sociali, di tutte le discriminazioni: chi ha di più è più in alto; gli uomini non sono più uguali, si distinguono per quello che hanno e non per ciò che “sono”!!! E’ così che l’uomo del denaro diventa un uomo “solo”, un uomo alienato, schiavo. Il denaro diventa una prigione. L’uomo del denaro è l’uomo vecchio.
Il problema della divisione della ricchezza è uno dei più gravi a tutti i livelli. Come interviene Cristo in questa situazione? Perché Cristo rifiuta di farsi giudice fra i due della parabola evangelica odierna? Perché non è la sua missione fare giustizia mediante la via del potere. Il potere si giustifica moralmente quando si mette a servizio della giustizia. Cristo non lo condanna in quanto potere. Solamente che il potere non è la via che egli ha scelto per “fare giustizia”. Cristo, anzitutto, riprende l’insegnamento della saggezza umana, espresso già nell’Antico Testamento, traducendolo nella parabola del ricco insensato (Lc 12,16-21). Le cose sono una falsa sicurezza. Il possesso è in realtà illusorio: il ricco è posseduto dalle cose, ma in fondo non le possiede. La morte rivela in modo evidente questa verità. La meditazione della morte compie nell’uomo la liberazione da un’illusione, una prima liberazione dalle cose. Non è però una meditazione di tipo moralistico. Gesù non vuole inculcare nei suoi ascoltatori abbienti il timore di una morte improvvisa e individuale che manderebbe in fumo le loro speranze. In realtà la visione che si ha qui della morte è escatologica ed è collegata col giudizio di Dio. Il fondamento sicuro dell’esistenza è Dio solo. In lui acquista significato anche l’uso delle cose, in sé buone. Non saranno più strumento di divisione, ma di comunione. L’uomo non le tiene egoisticamente per sé, ma le trasforma in “segno” d’amore. «Dio ha destinato la terra e tutto quello che essa contiene, all’uso di tutti gli uomini e popoli, così che i beni creati debbono essere partecipati, secondo un equo criterio, a tutti, avendo come guida la giustizia e compagna la carità. Pertanto, quali che siano le forme della proprietà, adattate alle legittime istituzioni dei popoli, in vista delle diverse e mutevoli circostanze, si deve sempre ottemperare a questa destinazione universale dei beni» (GS 69).
da: Qumran2.net